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RASSEGNA STAMPA - 2006

Il 19 dicembre 2004 la morte prematura di un leader della politica nazionale

(19 dicembre 2006)

Due anni fa la scomparsa di Domenico Susi
Sindaco della rinascita, deputato, con Introdacqua nel cuore
di Neomisio Bonaventura
SULMONA - Il 19 dicembre di 2 anni fa veniva a mancare Domenico Susi.
Sindaco di Introdacqua, deputato, sottosegretario di Stato alla Finanze. Un uomo che ha amato la sua terra e la sua gente. La famiglia oggi lo ricorderà in modo semplice, con una messa in suffragio in una chiesa di Sulmona.
Da parte nostra, per onorarne la memoria abbiamo scelto di pubblicare il ricordo di uno dei suoi amici.

19
/12/2004: Lutto nel mondo politico. E' scomparso l'onorevole Susi


All’amico Domenico: un ricordo di Domenico Susi

“Urlano quando tutti gridano e tacciono quando dovrebbero parlare”
Ignazio Silone

Ci univano molte cose: gli ideali socialisti, la passione per la letteratura, l’amore per le Medicine non Convenzionali. Eravamo convinti, entrambi profondamente, che nell’attuale regime sociale capitalista non si è affievolito ma si sviluppa in forme nuove il contrasto fra le forze produttive ed i rapporti di produzione, mantenendo attuale e necessaria la lotta di classe tra il proletariato (nella sua funzione storica e in qualità di costruttore di un blocco storico e sociale antagonista) e la borghesia dominante. Entrambi propendevamo per un lento, illuminato riformismo poiché, per entrambi, uno dei grandi equivoci nel processo di rinnovamento in corso nella sinistra mondiale - particolarmente in quella che non ha perso il gusto per l'utopia socialdemocratica - è la povertà di argomenti che una gran parte dei militanti della sinistra tradizionale (o "ortodossa") usa per affrontare il problema del "blairismo" come fenomeno politico. Per noi due, invece, il "blairismo" risulta essere un tentativo sincero di risposta alla crisi della socialdemocrazia e del socialismo, non un tradimento dei cosiddetti ideali rivoluzionari di classe, ma una prassi di rinnovamento universalista del patto socialdemocratico.
Molte volte ci siamo detti, anche se attraverso argomentazioni e culture differenti (laica la tua, più cattolica la mia), che assumere le libertà che si riferiscono ai diritti sociali, civili e politici ma anche il libero esercizio delle capacità individuali imprenditoriali, rappresenta una rottura sia con il modello sovietico sia con lo stravagante ritorno al liberalismo. Si trattava di utopia? Forse, ma di sicuro ben minore di quella che fu l'utopia comunista. Anche l'impotenza, nel capitalismo organizzato e sviluppato, del "soggetto di classe" e del "soggetto partito" a creare le condizioni politiche e economiche favorevoli a una transizione verso il socialismo (come modo per avviarsi verso una società "interamente altra") impone ai socialisti la necessità di pensare a un progetto "interamente nuovo".
Ma per questo servono (come riferimento per le pratiche immediate di governo che vogliamo realizzare in riferimento sia al degrado delle relazioni umane spacciate come frutto della naturalità delle relazioni sociali sia delle disuguaglianze sociali, sia all'alienazione indotta dal consumismo idiota come dal bellicismo "correttivo" delle democrazie mature, sia alla manipolazione delle libertà pubbliche sia alla visione dello "Stato totalizzante" presumibilmente necessario per combattere un "mercato totale"), uomini come te, politici autentici, animati da veri ideali, infaticabili e sognatori, indeflettibili rispetto all’assunto morale e alle idee.
Dicevi spesso che “una nuova sinistra sorgerà e si affermerà solamente se sarà in grado di offrire una prospettiva alle esigenze che emergeranno dalle ceneri di un neoliberalismo agonizzante”.
Ma con quali uomini, ora, tutto questo?
Hai scritto, nella presentazione ad un mio libro
[1] (da te voluto tenacemente e difeso e titanicamente “giustificato”) “la base per un dialogo è, oltre alla buona volontà, l’uso di un linguaggio comune. È necessario quindi definire la medicina convenzionale e  le "altre" medicine e chiarire il significato di alcuni vocaboli che spesso sono usati in modo improprio, equivoco e confondente.” Parole sagge, profonde, che rivelano  un animo improntato al dialogo, predisposto alla comprensione, capace di tradurre il “diverso” in valore. Ed è questo che avevi imparato (da Croce, da Silone, dal contatto diuturno con “l’uomo”): la capacità di ascoltare, dialettizzare, accogliere e tradurre in pratica armoniosa le più svariate differenze.
Chi ti conosceva poco avrebbe potuto confondere il tuo pragmatismo (da politico consumato in 45 anni di ininterrotta esperienza e militanza) in riduzionismo superficiale e, nella peggiore delle ipotesi,  in una cultura fatta di stigmi e pregiudizi. Raramente (come hanno scritto Silone, Pisolini, Sciascia, Trabucchi e, di recente, la Fallaci)  ci si imbatte in uomini e donne capaci di alzare la voce e battere i pugni sul tavolo di fronte all'ingiustizia e alla prevaricazione degli ideali. Gli strumenti attraverso cui siamo stati istruiti a compiere le più grosse infamie sono l'ignavia, l'apatia che ci portano ad essere, volenti e nolenti, pecoroni di un gregge che viene guidato, indisturbatamente e abilmente, da poteri più o meno occulti nella loro essenza ma certamente espliciti nella loro fenomenologia. Grazie a te, al tuo esempio concreto, a volte mi sono sentito fuori da quel gregge.
Mi hai insegnato che il problema centrale dell’oggi è che viviamo in una società, in un mondo in cui la passione, gli ideali, i grandi uomini e le grandi donne, stanno dormendo o peggio ancora sono morti (prima ancora
di esserlo, biologicamente). Mi hai insegnato che chi opera in ambito intellettuale deve imparare a ragionare (ed argomentare) fuori dai siloniani “lindi pacchetti”, deve affermare con forza la sua visione delle cose senza compromessi, senza ammorbidimenti e tenendo conto che il primo valore è la ricerca “laica” (e non laicista) della “verità” intesa come recupero dell’uomo. Ricordo (ora con una forza più viva, sembra ridicolo dirlo), il tuo sorriso dopo un mio intervento in un Convegno da te presieduto. Mi interrogavo, in quella occasione”  sul perché dobbiamo stupirci o indignarci (che è peggio), se la gente (parametro di riverite vendite e classifiche) sinceramente preferisce leggere cosa mangiano e pensano i calciatori e le vallette e i cantanti e le sarte “stiliste”, nei loro ambienti così mitici e leggendari per gli zombi, mentre i cloni pacificamente se ne fottono di ciò che narra o congegna o suppone o auspica il modesto letterato (smanioso o schivo) fra il suo “tavolino” e il suo “cestino”. I vari aspetti della sprovincializzazione culturale: il realismo “epico” (fra Hemingway e Brecht); l’arte astratta, e anche espressionista astratta; le tecniche e pratiche del frammento (Adorno e Musil non già La ronda); la stilizzazione formalista e strutturalista; l’espressività del plurilinguismo; la neoretorica dei “generi” letterari; l’analisi ravvicinata dei testi poetici; i tanti “nuovi modi di...” non interessano nessuno perché non sappiamo coinvolgere o interessare. I nostri paesaggi culturali (e mentali) sono sempre più angusti, più da specialisti; allontanano invece che avvicinare. Mi dicesti allora (in un sussurro frusciante, da amico e nell’orecchio) che ogni generazione deve affermarsi da sé, con le proprie opere e i propri critici. L’intimismo piccolo-borghese da tinello e villetta con la nonna e i piccini, e gli ex-ragazzi che fanno i paparini, e gli ex-giovani che danno lezioncine di moralismo dabbene non mi avrebbero portato a far comprendere il mio messaggio. Avrei dovuto invece, pensandoci e ripensandoci a lungo, infilare, fra le pieghe di una anormale normalità, creare nessi fra medicina e le altre arti o col “pensiero” in genere – senza mai far prevale una esclusiva considerazione del proprio io. Se adesso mi paragono all’importanza e alla profondità e all’impegno del tuo pensiero, quanto vana mondanità, quanta inutile frivolezza mi scopro addosso.
Mi hai insegnato che ogni parola, ogni riga, o conferenza o libro debbono descrivere movimenti, situazioni, mentalità, ambienti, con aperture e squarci su panorami e prospettive, non trame offerte da realtà sociali e intellettuali e di costume da “audience” omogeneizzata o da “bestseller” industriale.
Raccolgo il tuo monito; ma quale pesante eredità ci lasci.

Carlo Di Stanislao


[1] Di Stanislao C. (a cura di): Argomenti di Medicina. Il dialogo e il confronto fra culture e modelli”, Ed. Fondazione Silone, L’Aquila-Roma, 2004.

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