FIRENZE - «Sono
stato privato del mio diritto di voto per ragioni che nessuno mi aveva
comunicato, ciò potrebbe essersi ripetuto per molti altri cittadini italiani,
abbiamo un corpo elettorale incerto per colpa della legge Tremaglia».
Parlando al telefono dalla sua casa di Firenze, il notissimo politologo
Giovanni Sartori, costituzionalista e professore emerito alla Columbia
University, è un fiume in piena a causa di quanto avvenuto al seggio di via
San Nicolò, dove non gli è stato consentito votare al referendum.
Perché non ha potuto votare?
«Sono andato prima al Comune di Firenze, poi al mio seggio in via San Nicolò e
lì dopo un'ora e mezzo mi sono sentito dire che non potevo votare perché ero
stato cancellato dalle liste elettorali della mia città in quanto iscritto a
quelle del consolato di New York. Era una cosa che non sapevo. Non ne ero
stato avvisato, nessuno mi ha detto nulla. Pensando che Firenze è la mia città
e quello è il mio seggio sono andato a votare come sempre fatto in passato. Ma
questa volta però non è stato possibile, mi hanno detto che ero obbligato a
votare a New York. E' stata una situazione davvero paradossale, non ho potuto
votare dove sono nato e cresciuto. Al seggio hanno tentato di aiutarmi a
trovare una soluzione ma invano, alla fine piangevano tutti. Il sindaco ed il
prefetto, hanno tentato di risolvere l'incredibile caso ma non hanno potuto
per loro stessa ammissione fare nulla».
Perché il problema non si è potuto risolvere al seggio?
«Perché tutto ciò è frutto di una legge assurda come quella Tremaglia che ha
stabilito un collegio elettorale estero su richiesta dei partiti, i quali non
volevano avere nelle proprie circoscrizioni elettori che non vi risiedevano
stabilmente. Gli elettori all'estero sono considerati dei marziani. Per poter
votare a Firenze avrei dovuto usufruire di una finestra di quattro giorni di
tempo per cancellarmi dal consolato di New York ma questo l'ho saputo
solamente una volta arrivato al seggio di Firenze».
Che valutazione ha tratto da quanto le è avvenuto al seggio?
«Che viviamo in una democrazia davvero incerta. Esistono due liste di
elettori, una stilata dal ministero dell’Interno ed un'altra dal ministero
degli Esteri. Mi hanno detto che la differenza è di circa un milione di
persone e questo significa che abbiamo un corpo elettorale incerto, con gli
italiani residenti all'estero che vengono trattati come una navicella
spaziale, non si sa bene dove debbano votare o quanti siano davvero».
Il vulnus insomma è da attribuire alla legge Tremaglia?
«Certo, è stata fatta con i piedi, crea confusione sul corpo elettorale
nuocendo al diritto di voto dei singoli cittadini oltre al fatto che consente
di eleggere rappresentanti all'estero raccogliendo appena tremila voti».
Quale potrebbe essere una soluzione per evitare il ripetersi di episodi
simili a quello avvenuto a lei?
«Fare come tutti gli altri Paesi, che consentono ai residenti all'estero di
esprimere il voto per corrispondenza, ma ciò significherebbe per i partiti
avere nei singoli collegi elettori che vivono altrove e sui quali non possono
avere un'influenza diretta, che sfuggono al loro controllo».
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